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ADDIO AI FURBETTI DELLA “104″. POSSIBILE IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA SE L’USO È UN ABUSO ILLECITO
28.11.2014 20:15La natura illecita dell'abuso del diritto a fruire dei permessi per l'assistenza dei congiunti, di cui all'art. 33, L. 104/1992, e il ragionevole sospetto che il lavoratore ne abbia abusato, legittimano il ricorso al controllo occulto c.d. "difensivo" ad opera del datore di lavoro. L'uso improprio del permesso per l'assistenza dei congiunti giustifica il licenziamento per giusta causa in quanto compromette irrimediabilmente il vincolo fiduciario indispensabile per la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Un datore di lavoro si avvale di un'agenzia investigativa per "pedinare" un proprio dipendente, sospettato di utilizzare i permessi ottenuti per l'assistenza ai congiunti ai sensi dell'art 33 della L. 104/1992 al fine di recarsi in vacanza. Scoperto l'illegittimo uso del permesso, il datore licenzia il dipendente per giusta causa.
Il dipendente impugna il licenziamento contestando, in giudizio, la liceità del controllo operato dal datore e la conseguente utilizzabilità delle risultanze probatorie derivanti dall'attività investigativa. In particolare, secondo il lavoratore gli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori legittimerebbero, in presenza di un ragionevole sospetto, solo i controlli c.d. "difensivi" ovvero finalizzati ad accertare gli illeciti perpetrati a danno del patrimonio aziendale. In nessun caso, invece, il controllo potrebbe avere ad oggetto l'attività lavorativa intesa quale adempimento dell'obbligazione di fornire la propria prestazione lavorativa cui, a dire del lavoratore, sarebbero riconducibili i controlli effettuati dal datore di lavoro nel caso in esame.
Il Tribunale in primo grado accoglie il ricorso del lavoratore mentre la Corte D'Appello riforma la sentenza, argomentando che l'abuso del diritto di cui all'art. 33 L. 104/92 costituisce condotta illecita, tanto nei confronti dell'Inps, che eroga la corrispondente indennità, quanto nei confronti del datore di lavoro, il quale dall'abuso subisce comunque un danno, sia in termini economici dovendo, comunque, accantonare anche per i giorni di assenza il TFR, che organizzativi, dovendo far fronte all'assenza del lavoratore. La Corte d'Appello ritiene, inoltre, che nel caso di specie sussista anche il secondo requisito per accedere ai controlli difensivi ovvero il ragionevole sospetto del comportamento illecito (difatti due colleghi avevano in sede testimoniale dichiarato di aver sentito il lavoratore mentre raccontava di essere stato in vacanza in giorni in cui lo sapevano in permesso). Ad avviso del giudice di secondo grado, dalla liceità dell'accertamento difensivo consegue l'utilizzabilità in giudizio degli esiti dello stesso e, in definitiva, la legittimità del licenziamento per giusta causa.
La decisione è confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza del 8 gennaio 2014, depositata in data 4 marzo 2014, n. 4984), la quale ribadisce la legittimità del controllo esercitato dal datore di lavoro attraverso l'impiego dell'agenzia investigativa e l'utilizzabilità delle relative prove. Il giudice di legittimità, ritenendo la natura illecita dell'abuso del diritto a beneficiare dei permessi per l'assistenza dei congiunti, esclude che il controllo esercitato dal datore di lavoro possa, nel caso di specie, considerarsi teso ad accertare l'adempimento della prestazione lavorativa, in quanto effettuato al di fuori dell'orario di lavoro e in fase di sospensione dell'obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa.
L'utilizzo da parte del dipendente di permessi con finalità assistenziale per scopi diversi, secondo la Suprema Corte costituisce poi comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa, condividendo sul punto la decisione del Giudice d'Appello, adeguatamente motivata anche in relazione ai generali principi della "coscienza generale". Su quest'ultimo punto, la Corte ha cura di ricordare come l'art. 2119 sia una norma c.d. elastica, tale per cui la giusta causa rappresenta un "modello generico", capace di adeguarsi a una realtà mutevole nel tempo e che necessita quindi di essere specificato in sede interpretativa.
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