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“Non si butta via nulla, mai”
18.04.2021 12:098500/2021, ricordatevi questo numero!
È la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, che rivoluziona la tempistica della conservazione della documentazione contabile.
36 pagine di motivazione della sentenza, ben argomentate sotto l’aspetto giuridico che arrivano alla conclusione che: “tra le norme a tutela dell’accertamento e quelle che fissano termini per la conservazione documentale, ai fini dell’interesse erariale devono prevalere le prime”.
«Conservate, gente, conservate». Parafrasando un vecchio e fortunato spot, è questo il messaggio che i consulenti adesso stanno diffondendo tra i propri clienti dopo la sentenza.
Ovviamente tutto ciò dipende dal fatto che non s’è mai realizzata la parità di trattamento tra Agenzia delle Entrate e Contribuente, in barba a Statuti del Contribuente è sempre e comunque il contribuente a dover dimostrare di “non aver evaso” di aver agito “in buona fede” di non aver occultato “documenti contabili”. In un’ottica simile il burocrate di turno sguazza, altro che semplificazione e modernizzazione, qui siamo obbligati a rimanere nel passato, in quegli immensi archivi polverosi pieni di scaffali e carpettoni con i lacci, dove i travet ministeriali giravano fieri e tronfi.
Malgrado le 36 pagine ben argomentate, nessuno dei giudici però si è reso conto che il problema più grande riguarda il passato. Chiederei a costoro come si possa spiegare ad un imprenditore, che già vessato da anni di crisi, dall’epidemia pandemica e che stanco è adesso intenzionato a cedere quest’anno la propria azienda, che il calcolo della plusvalenza/minusvalenza può essere a rischio di accertamento fino almeno al 2027 se non si ritrova più la fattura – possibilmente in originale – con cui nel 1988 ha acquistato il capannone? E tutto questo anche se il costo è stato sempre correttamente iscritto nel registro dei beni ammortizzabili e riportato negli oltre 30 bilanci successivi all’acquisto depositati al Registro imprese.
Ciò che non convince è il risultato, come al solito in questo disgraziato paese le riforme si fanno a metà.
Infatti se fin dagli anni 90 il Fisco ha impresso una svolta telematica senza precedenti nella gestione dei dati fiscali, spendendo molto in termini di risorse a carico dello stesso contribuente, con risultati molto deludenti ma utilizzando a costo zero i famosi “intermediari telematici” (consulenti del lavoro, commercialisti, tributaristi etc..) e lo stesso contribuente in un opera quasi faraonica, imponendo centinaia di adempimenti con costi e impiego di tempo rilevantissimi, lavoro che alla fine ha reso possibile il fatto di poterci vantare di avere oggi uno dei sistemi più avanzati del mondo in questo campo, in cui ogni dato, praticamente in tempo reale, viene trasmesso all’amministrazione.
Di contro e qui vien fuori l’ottusa burocrazia dell’idiotico travet, abituato a timbrare o bollare ogni carta, come una sorta di riscatto personale, per ottenere, ad esempio un rimborso Iva le imprese devono fornire in sede di controllo le copie cartacee “di cortesia” delle fatture già presenti nello Sdì, esattamente come vent’anni fa.
Noi cittadini normali e mediamente intelligenti, non riusciamo infatti a comprendere il senso di questa modernizzazione, se tu Agenzia, a spese del contribuente e del suo intermediario, entri in possesso di tutta la documentazione fiscale di un’azienda, se tu Agenzia ti ritrovi questa documentazione nello Sdì, se tu Agenzia hai comunque nei tuoi server tutte le dichiarazioni di un imprenditore a cosa serve la conservazione documentale, perché io cittadino devo essere obbligato a conservare un documento che tu Agenzia possiedi già? Ricordo che l’allora ministro Bassanini nell’ottica dei vari tentativi di semplificazione e di sburocratizzazione dello stato, impedì con una norma che il contribuente dovesse riprodurre a qualsiasi ufficio pubblico documentazione della quale lo stato fosse già in possesso, ma ahimè, il tempo passa, la memoria si deteriora e l’instancabile travet ottiene sempre la sua rivincita.
La cosa assurda in termini di innovazione telematica è il fatto di non voler comprendere che si tratta di una generazione successiva, ma soprattutto non si riesce a considerare, e questo a nostro avviso è un fatto sia illogico che grave, che, diversamente dal passato, a tale data chi ha deciso quel costo e chi lo ha contabilizzato difficilmente saranno ancora presenti in quell’azienda.
Per fortuna che in questo bailamme il 14 aprile 2021 con l’ordinanza 9794, sempre della corte di Cassazione, viene affermato che “non si può pretendere che l’obbligo si protragga sine die, per una durata che dipende solo dalla volontà dell’ufficio”.
Quindi se da una parte la corte di cassazione afferma l’obbligo di conservazione documentale, ben oltre i dieci anni, un paio di mesi dopo, la stessa corte afferma che “non si può pretendere che l’obbligo si protragga sine die”
Viva l’Italia
Staff di Redazione Palmeristudi
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